"L'aereo è davvero saltare
il fosso.... e ti prende quella voglia di volare .... e allora perchè non
andare in Argentina?" Canta così il mio amato maestrone Francesco Guccini.
Quest'anno scelgo la Patagonia.
Destinazione importante, sogno degli escursionisti e meta
irrinunciabile degli alpinisti di tutto il mondo. La Patagonia è lontana, una
regione immensa, che si estende a cavallo tra Cile e Argentina fino alla Terra
del Fuoco. Una di quelle terre di cui ne hai appena sentito parlare, che sai a
malapena dove possa essere.
Non amo particolarmente
l'organizzazione minuziosa, la cura dei dettagli, la maniacale preparazione di
ogni virgola, in modo tale che tutto vada liscio. Mi piace, come ogni zingaro
che si rispetti, lasciare molte cose all'ispirazione del momento. Certo corri
il rischio di tralasciare alcune cose importanti da visitare, ma c'è anche il
rischio che vedere troppe cose prima di partire ti rovini un pò la sorpresa, la
vista, il gusto.
Prendo la guida "Trekking in
Patagonia" della Lonely Planet. Il viaggio comincia qua, l'immaginazione
parte, vado qua, vado la, no la non riesco eccetera. Terra del Fuoco, Ushuaia,
Osvaldo Soriano, Capo Horn, Walter Bonatti. Ricordo bene il suo racconto
dell'esperienza in quel posto impossibile, invivibile, dove abita solo la furia
del mare e del vento. Luogo mitico, di naufragi e leggende. Il trekking più a
sud del mondo si trova proprio qua, Isola di Navarino, di fronte a Ushuaia ma
in terra cilena. Il circuito "de los dientes" così si chiama. Un trekking
circolare attorno a delle montagne che spuntano come denti. Sei immerso nel
nulla, dura cinque giorni, nessuna struttura ricettiva, solo tu, la tua tenda,
la tua pioggia, il tuo vento, la neve magari. E Ushuaia, dove Soriano racconta
del campionato del mondo di calcio che venne giocato durante la seconda guerra
mondiale.
E poi c'è il mitico Cerro Torre,
un pilastro di granito rosso, che quando lo vedi ti zittisce, ti spegne, e ti
dici che no, non è possibile che qualcuno possa essere salito lassù.
E leggi delle Torres del Paine,
montagne dalle forme spettacolari, isolate in terra cilena, dove il primo vero
insediamento umano lo trovi solo se cammini per 100km.
Oceani, ghiacciai, pinguini.
Troppa roba, distanze quasi proibitive. La forza è saper rinunciare, fare delle
scelte, dettate dal budget di soldi e tempo. Ed la scelta mi porta a escludere
l'estremo Sud e puntare sui 3 siti: Parco Nazionale Los Glaciares (Cerro Torre
e Fitz Roy), Perito Moreno e Parco Nazionale delle Torres del Paine.
Il periodo a disposizione infatti
è di due sole settimane, che sceglierò dal 23 novembre all'8 dicembre. In
Patagonia in quel periodo la primavera volge al termine, novembre in pratica
corrisponde al nostro maggio.
Tutti i dettagli tecnici li metto
in coda al racconto.
Video su youtube: Video del viaggio in Patagonia
Video su youtube: Video del viaggio in Patagonia
24 Novembre 2013
"Vuoi cenare con noi?"
Si presenta così Hennieke, una ragazza olandese il cui viaggio di un mese, da
sola, in Argentina volge al termine. Certo che voglio. Ed ecco Jorge, lui sì
che gioca in casa, direttamente da Buenos Aires, mi viene in contro mentre esco
dalla camera, mi stringe la mano con un caloroso "hola companero" e
un sorriso che mi fa sentire a casa. Mentre mi preparavo per la mia prima
isolata serata, ecco che mi ritrovo felice e colpito dall'accoglienza
all'hostel Condor de los Andes, El Chalten.
Il viaggio non era cominciato
benissimo.
A Buenos Aires ho infatti un po
di tempo a disposizione, circa un'oretta, e dovendo cambiare aeroporto e quindi
attraversare la città decido di scendere al capolinea del Bus Manuel Tienda
Leon, zona Retiro, per fare un giretto, il tanto di vedere qualcosa e bere una
birra. Ho il mio enorme zaino in spalla e davanti la zainetto della macchina
fotografica. La zona non mi sembra delle migliori, c'è la stazione centrale, spazi
aperti, strade enormi, un po di traffico, il sole si fa sentire per la prima
volta. Mi dirigo verso il centro a piedi, passando sotto un lungo portico di un
blocco di edifici. A un certo punto
sento un getto d'acqua che mi cade addosso, appena dietro la testa e centra in
pieno lo zaino. Ma non è acqua quella, a meno che da queste parti l'acqua non
sia verde. E' infatti una salsa, un qualcosa che usano per condire i piatti al
ristorante. Frazioni di secondo in cui penso che sopra di me c'è un ristorante
e allora a qualche sbadato è cascata la salsa. Ed ecco venirmi incontro un uomo
asiatico, per me è un cinese, sulla quarantina, con gli occhiali, a porgermi,
dispiaciuto, un fazzoletto di carta, per aiutarmi a pulirmi. Ora sono fermo, mi
pulisco un po, ma il fazzoletto non basta. Il cinese premuroso si ferma dietro
di me, si sfila il suo zainetto e tira fuori una bottiglia d'acqua. Mi vuole
aiutare, mi da un altro fazzoletto, ma intanto mi versa un po d'acqua dietro il
collo dicendo che sono sporco e di togliermi lo zaino che mi aiuta a pulirmi.
Frazioni di secondo. Attimi. Resto lucido e capisco di essere da solo con lui, non c'è nessuno, e allora
grazie amico mio, gli dico che lo zaino non me lo tolgo, che non importa, mi
volto e tiro dritto, passo deciso, spedito verso un gruppo di persone che
aspettano l'autobus a una fermata più avanti. Solo allora mi sfilo lo zaino e
lo pulisco, prendo il primo taxi e via verso l'aeroporto.
Finalmente arrivo a El Calafate,
piccolo aeroporto. La Patagonia mantiene subito le promesse: grandi spazi,
sterminate distese di giallo e verde da bassa vegetazione che per via del vento
non può che essere così. Ma la prima gioia è quando vedo il mio zaino spuntare
fuori dal nastro, segno che ce l'ha fatta, che ha resistito alla tentazione di
molti amici suoi di perdersi, di prendere altre destinazioni da quelle previste
dal suo padrone... e invece lui è arrivato per fortuna, insieme a me, senza di
lui la mia avventura non avrebbe potuto iniziare, ma è là, lo prendo, sembro
dire a tutti che quello è il mio e che ora si comincia.
Ma tra me e la mia prima destinazione,
El Chalten, ci sono ancora 200km da percorrere in circa tre ore e mezza, ma
sono sereno, vado dritto allo stand della compagnia Las Lengas che effettua il
servizio di collegamento diretto dall'aeroporto per El Chalten, prenotato
dall'Italia. Fuori l'aria è frizzante, pulita, il vento comincia a
dirmi che mi tormenterà per buona parte della mia permanenza, ma è giusto così.
C'è un bel sole, ancora alto, sono le 5 del pomeriggio. Il viaggio in bus
scorre abbastanza bene, la tappa obbligata in questo percorso e all'osteria La
Leona, un bar con servizi, posti letto e un negozietto di souvenir. Spicca la foto del ricercato Butch Cassidy, noto criminale trattato anche nei racconti di Osvaldo Soriano e Bruce Chatwin.
Bevo un matè concido e una fetta di una squisita torta di mele. Il piccolo bus è pieno, ci sono tre coppie, una famiglia coreana con una bimba spettacolare di 17 mesi. Fuori dai finestrini distese infinite, il lago Argentino, un mare azzurro ghiaccio, e le montagne in lontananza, dove noi stiamo andando, proprio incontro al Fitz Roy e al Cerro Torre.
Butch Cassidy, a La Leona |
Bevo un matè concido e una fetta di una squisita torta di mele. Il piccolo bus è pieno, ci sono tre coppie, una famiglia coreana con una bimba spettacolare di 17 mesi. Fuori dai finestrini distese infinite, il lago Argentino, un mare azzurro ghiaccio, e le montagne in lontananza, dove noi stiamo andando, proprio incontro al Fitz Roy e al Cerro Torre.
Cerro Torre e Fitz Roy |
Duecento chilometri di niente, di nessun
insediamento, fatta eccezione per La Leona e per qualche estancia. Ogni tanto
vedo tristi scheletri di guanachi, appesi come tappeti stesi ad asciugare,
rimasti là nel filo spinato, nel tentativo di scavalcare la rete che separa la
strada dalle praterie, in cerca di chissà cosa.
El Chalten mi piace: è una
distesa di casupole, più o meno ordinate, attraversata da una strada principale
ed altre piccole, alcune sterrate, come ad esempio la mia dove si trova il mio
ostello, ad accogliermi c'è la simpatica Marianna che mi spiega che la camera è
quella, che la chiave la devo lasciare in portineria, mi mostra la cartina e mi
dice del supermercato, dei ristoranti, del sentiero per il Cerro Torre, il
tutto con il sorriso. La disponibilità, il sorriso di questa gente mi accompagnerà
per tutto il viaggio.
Cerco il gas per il mio fornellino da campeggio, riesco a
trovarlo in un negozio in chiusura sul lungo viale San Martin e trovo anche due
panini e due mele in una panetteria gestita da una deliziosa signora del posto.
L'aspetto dei panini e delle mele non è dei migliori, a casa mia non li avrei
mai acquistati, ma sento ancora il gusto, la freschezza che pulisce la bocca di
quelle mele, quando anche il luogo e il momento in cui le assapori ti cambia il
punto di vista.
Ma ecco che mentre provo a
connettermi col mio smartphone alla civiltà e segnalare in Italia che sono
vivo, la voce di Hennieke mi interrompe.
E così usciamo, io lei e Jorge, alla ricerca di un posto dove cenare. La sera è
sopportabilmente fredda, ma chissenefrega, in fondo, ora, in quella strada un
pò in discesa camminano un italiano, un
argentino e un'olandese, insieme, come se il destino avesse deciso così. Penso
che la gran parte di un viaggio è questo, l'incontro, casuale, in comune solo
la voglia di vedere posti nuovi e gente diversa. Il freddo bussa alle ossa ma
nessuno di noi lo sente perchè camminiamo e sorridiamo. Il primo ristorante
scelto per noi dalla guida turistica scritta è ovviamente strapieno e allora
optiamo per il "Mi vejo" che ci era sembrato carino sulla via.
Lasciamo fare ovviamente a Jorge, che ci sceglie un ottima carne di agnello e
un rosso argentino Malbec. Ci si racconta un po delle nostre vite lontane.
L'indomani Hennieke farà il sentiero Laguna Torre e allora le propongo di farlo
insieme, mentre Jorge che l'aveva appena fatto farà il giro dalla parte del
Fitz Roy. Faccio la mia conoscenza del "dulce de leche", in questo
caso in formato digestivo. La serata termina in una cerveceria artigianale che
però aveva già finito le loro birre e alle 2 siamo di ritorno all'ostello.
25 novembre, il Cerro Torre
Ore 7.30 colazione nella calda
saletta, poi prima di partire vado a prelevare un po di pesos argentini che
potrebbero servirmi nei 3 giorni di trekking, ma che non userò mai... Il tempo
di fare un paio di foto con Jorge, che poi non rivedrò più, chiudo lo zaino e
partiamo. Hennieke sorride nel vedere il mio zaino enorme, dice che mi rispetta,
sorrido. Guida lei, la vedo sicura e poi mica ci si perde, il sentiero è
segnato abbastanza bene. Comincia subito con una ripida ma breve salita, da
dove ammiriamo il paese dall'alto. El Chalten giace appiattito cercando di
ripararsi dal vento con l'aiuto delle montagne e sembra riuscirci.
El Chalten |
Cerro Torre |
Cerro Torre (silver) |
Al bivio tra il campamento De
Agostini e la "scorciatoia" per il Mirador Maestri teniamo la destra
e attraversiamo il camping degli alpinisti, i marziani che oseranno sfidare le
montagne dalle pareti strapiombanti. Solo il pensiero mi mette inquietudine, il
campo base sembra disabitato, chissà, penso, dove sono i sognatori.
Usciti dal bosco e saliti per una
lenta ascesa su terreno detritico, eccoci dimenticare i piacevoli e leggeri
raggi di sole che scaldavano le spalle, per passare subito alle raffiche di
vento intenso e freddo che arrivano direttamente dal ghiacciaio del Torre che
ci troviamo di fronte e che va ad adagiarsi sull'omonima laguna, sotto di noi,
piatta e leggermente ingrigita. Gli occhi ricevono e trasmettono al cervello la
meraviglia del paesaggio, con il Cerro Torre, adesso, quasi beffandoci di noi,
ha deciso di coprirsi le spalle con qualche nuvoletta.
Ma ecco che assisto ad una delle
scene per cui credo valga la pena viaggiare. Davanti a me, praticamente lo è
sempre stata (I will follow!), vedo Hennieke che saluta un ragazzo che, insieme
ad altri, arriva dal vicino Mirador Maestri. Il biondo capellone, Billy o Willy
o sicuramente qualche nome diverso, non ricordo, risponde al saluto contento e
sorpreso, si abbracciano. Si scambiano parole che il vento porta via, non le
sento, un minuto, qualcosa in più, arrivo anche io e gli stringo la mano, in
segno di saluto, va via: "See you in Europe!"
"Ci siamo visti qualche
giorno fa a Bariloche e adesso ci incontriamo nuovamente qua!". Questo mi
dice, Hennieke, subito dopo, felice, divertita, sorpresa.
Bariloche, città argentina, a
circa 1400km di distanza.
Ecco, il punto è questo. La
casualità, l'incontrarsi e magari il rivedersi fosse solo per un saluto. Un
sorriso, un'emozione. Nel viaggio di ritorno in pullman verso El Calafate, con
la strada che scorre su paesaggi aridi, secchi, segnati dalla natura spietata
di questi luoghi, penserò molto a questo incontro. Viaggiare ti emoziona. Ne
valeva la pena fare un viaggio così lontano? Si, mi dico, ma non per la
distanza geografica che tende a solcare lo stacco con la routine. Guardando
fuori dal finestrino, mentre il giallo dei bassi cespugli scorre inesorabile,
pensavo che in quel momento ero felice. Un occhio all'orologio e mi dico, se
non ero qua dove ero? A casa, mezzanotte, l'indomani sarei andato al lavoro per
sentirmi dire che in banca non si fischietta nei corridoi perchè non è
decoroso. Chi mi guardasse ora scorgerebbe un sorriso disteso e sereno.
![]() |
Laguna Torre |
Pochi minuti di cammino in
leggera discesa verso un bosco ed ecco il grande cartello che indica l'ingresso
del Campamento. Gli occhi vanno subito alla ricerca della struttura in legno e
vetro immaginata poco prima, ma purtroppo là ci resterà. Di fronte a noi non
c'è nient'altro che alberi e terra. Piazzole per mettere le tende. Un bagno,
anzi, una latrina che non è altro che un metro quadro coperto da 4 pareti di
plastica alte due metri. Mi sento un po perso, deluso perchè mi aspettavo un
qualcosa che non c'è ma non c'è proprio per niente, non c'è neanche una misera
copertura semiaperta. Niente. Anche Hennieke è sorpresa, entrambi sorridiamo,
lei forse un po di più guardandomi vagare per l'area alla ricerca di qualcosa
che non fosse un albero, o una piazzola... ma quello che trovo è solo un
piccolo cartello che segnala la fine dell'area di campeggio... Mi rassegno,
individuo il posto dove metterò la mia tenda, e da li a poco sarò di nuovo
solo. Hennieke infatti deve andare, torna ad El Chalten e l'indomani comincerà
il suo ritorno in Olanda. Saluto, con una punta di dispiacere, questa bella
ragazza, jeans chiari, scarpe allstars, occhi azzurri e capelli chiari,
viaggiatrice solitaria.
Tenda montata, preparo uno zaino
leggero e via verso il Mirador Maestri. Il sole è ancora alto, il tempo è molto
bello. Il primo tratto è un po faticoso, sale lungo il lato destro della Laguna
Torre, poi sale dolcemente senza mai abbandonare la vista della laguna e di
tutta la valle, Cerro Torre ovviamente compreso. Cammino per un'oretta circa,
finchè il sentiero sembra finito. In effetti è segnalato molto male. Da qui il
Cerro Torre sembra davvero vicinissimo. Resto da solo con lui, un condor mi
passa sopra la testa.
Rientrato al campeggio, trovo
altre 3 o 4 tende. La notte passerà molto serena senza un filo di vento.
L'isolamento, se non fosse per le poche anime che dormono attorno a me, sarebbe
totale. Non c'è possibilità di comunicazione con la civiltà, non c'è linea
telefonica, El Chalten è a 2 ore e mezza di cammino.
Tramonto |
Il tramonto è meraviglioso, la notte, per niente fredda, scorre serenamente. Riesco anche a uscire
dalla tenda in piena notte per provare a fare qualche fotografia ma il
risultato non mi soddisfa pienamente.
26 dicembre, il Fitz Roy
Prendo coscienza delle ore di
luce. Sono tante, non c'è nessuna fretta. I primi bagliori cominciano già verso
le 4 per terminare poco prima di mezzanotte. Luce, non sole. Ma il sole c'è
anche oggi, bello caldo e forte. Parto dando le spalle al Cerro, non senza prima
esserci salutati, lui ancora immenso e pulito, io carico di spirito e di zaino
per la volta della traversata bassa del Fitz Roy. Ma il percorso sarà duro
oggi, anche se ancora non lo so. Il bosco durerà molto, il sentiero che porta
al Campamento Poicenot attraverso le Lagune Madre, Figlia e Nipote comincia
quasi subito a salire. La scena tipica di questi boschi sembra quella di una
guerra e gli alberi sono i guerrieri, molti dei quali giacciono morti, con le
radici all'aria, spezzati. Uno sembra resistere: caduto di testa, disegna una
specie di N, mentre cerca di rialzarla verso la luce.
Laguna Madre |
E' durante questo percorso che capisco le mie capacità e ciò
che riuscirò a fare durante il trekking. Abbandono il programma che prevedeva
in giornata il superamento del Campamento Poicenot e l'arrivo al successivo
camping/refugio Los Troncos, Preda del Frailes, più a nord, oltre il Fitz Roy.
Decido che non ne vale la pena. La vista da sopra la Laguna Madre è
eccezionale, grazie anche al bel tempo. Il vento che comincia a presentarsi e
che non mi lascerà più in pace per tutta la giornata di oggi e domani, non mi
impedisce comunque di sedermi, fermarmi, ammirare il panorama del gruppo del
Fitz Roy. Riesco a vedere la cima. Vedo il vento che ci sbatte sopra, con le
scie bianche e veloci che l'accarezzano. Verso la fine del percorso incrocio le
uniche anime vive della valle delle lagune, cioè un gruppo di ragazzi alla
ricerca del Mirador Fitz Roy, segnalato nella cartina, ma per niente nella
realtà, e un gruppo di lama carichi di attrezzatura al servizio degli
alpinisti.
Quando arrivo al Camping Poicenot
non mi aspetto niente di diverso dal De Agostini ed infatti l'unica cosa da
fare è trovare la miglior piazzola disponibile per piantare la tenda. Molto
stanco per la camminata mattutina, ma assaporo davvero la libertà, l'essere in
un posto isolato, nessuna comunicazione con il mondo esterno.
Al Camping Poicenot |
Mentre assaporo il panino al
jamon acquistato dalla tziedda in paese, riposo spalle e gambe appoggiato ad un
tronco d'albero sdraiato in un prato, di fronte a me le montagne per le quali
mi trovo la. Il gruppo del Fitz Roy, le guglie Poicenot e S.Exupery. Perfette,
nessuna nuvola intorno.
Organizzo uno zaino leggero, e
via verso la Laguna Los Tres, luogo immancabile per chi passa da queste parti.
Arrivo dopo 1 ora e 20 di cammino sudato, salita impegnativa, anche a causa del
vento. A differenza di stamattina, ci sono tantissimi escursionisti su questa
via. Dietro di me lascio il bosco con dentro la mia tenda, e mentre salgo si
vedono Laguna Madre, Figlia, Laguna Capri, e più lontano l'azzurro del Lago
Viedma. In cima resto a bocca aperta. Tipico, quando ti aspetti una cosa e ne
trovi un'altra.
Laguna Los Tres |
Il lago che avevo visto in immagine, blu, non c'è. O meglio c'è
ma non è per niente blu, bensì bianco, ghiacciato. Prima stupore, poi
meraviglia, comanda il bianco in questo colle a soli 1000 metri di altezza.
Cerco subito un punto di riparo dal vento per potere ammirare e scattare
qualche foto. Poi via giù a fare assaggiare ai miei piedi la temperatura e la
purezza dell'acqua del lago ghiacciato. Il sole ti scalda la faccia e l'animo,
ti ridà quello che il vento ti toglie. Breve escursione sul lato sinistro,
verso uno dei punti più emozionanti. La dove il lago trova sfogo e manda giù a
poco a poco la sua fredda acqua, verso un lago che sta forse 200 metri più a
valle.
E' la Laguna Sucia, ferma, lei sì blu ghiaccio, una lingua adagiata sotto uno dei ghiacciai che scende dal Fitz Roy. E' una meraviglia, perchè arriva agli occhi all'improvviso.
Laguna Sucia |
E' la Laguna Sucia, ferma, lei sì blu ghiaccio, una lingua adagiata sotto uno dei ghiacciai che scende dal Fitz Roy. E' una meraviglia, perchè arriva agli occhi all'improvviso.
La notte dura non so quante ore,
è la notte del vento, indelebile il ricordo del fischio che parte da lontano e
i momenti in qui penso "ecco ora questa raffica mi fa volare" e
invece resto ogni volta saldo a terra, la tenda fa bene il suo lavoro. Il
fischio dentro è un tuono, poi prosegue il suo percorso, via verso le altre
tende. Momenti di silenzio, in cui sembra che abbia finito, ma non sarà così.
Perchè non sarà lui a lasciarmi stare, ma io a lasciarlo qua in questa valle
soltanto quando salirò sul pullman il giorno dopo.
27 novembre, ritorno a Calafate
Abbandono la tenda per una veloce
escursione lungo il Rio Blanco fino alla Predas Blancas , che si trova a circa
45 minuti.
Mentre vado capisco che piove
anche se non piove. Il cielo è infatti leggermente velato, le montagne sono un
po coperte, ma c'è il sole pieno. Ma l'acqua mi arriva di traverso lo stesso.
Il vento infatti la raccoglie dai fiumi e dai laghi dei dintorni, la porta a
spasso per l'aria e infine la sbatte in faccia agli escursionisti. Penso che lo
faccia apposto, per burlarsi un po di noi, e io accetto lo scherzo a brutto muso.
La Laguna Predas Blancas è chiamata così per le grosse rocce bianche che si
frappongono tra il sentiero e il lago. Per arrivare al lago infatti occorre
superarle e non sempre è banale. Meriterebbe più tempo anche questo
spettacolare laghetto su cui cadono i blocchi di ghiaccio azzurro, meriterebbe
anche il bel tempo in effetti, ma le gocce di cui prima ti arrivano in faccia a
ripetizione. Mi ritrovo ad eseguire metodi da guerra da trincea per poter fare
una fotografia. Appostato dietro una grossa "preda blanca" aspetto il
momento in cui il nemico abbassa la guardia per ricaricare le munizioni e solo
allora balzo fuori e scatto le mie foto.
Laguna Predas Blancas |
Rientrato al camping, disfo la
tenda, preparo lo zaino e mi avvio verso una lunga camminata che in circa 3 ore
e mezza mi porterà a valle, alla civiltà. Il percorso è in lenta discesa, con
punto intermedio rappresentato dalla Laguna Capri, l'ennesimo lago alle cui
sponde sorge l'omonimo campeggio.
"Siete in due?" No che
non siamo in due, il mezzo litro di vino che ho chiesto lo voglio tutto per
me... Sorrido alla domanda del cameriere che non sa con chi sta parlando! Mi
godo appieno il momento di relax, seduto al caldo, al riparo dal vento
finalmente, tavolo fronte strada, mi gusto la bistecca definitiva, cioè il
filetto di manzo più buono che abbia mai mangiato.
Laguna Capri |
Ristorante Ahonikenk |
Il ritorno in pullman è dolce,
riposo un po, cullato dalla marcia lenta, dal paesaggio fuori e dai pensieri a
quello che ho passato questi giorni e a quello che mi attende. Pensieri che
volano fino all'Italia, alle differenze, alla realtà a cui mi sono sottratto
per un po di tempo.
L'ostello è l'America del Sur,
posto su una lieve altura sopra il paese, arrivo a sera inoltrata, c'è ancora
molta luce. I ragazzi ti mettono subito a tuo agio, sembra una sorta di autogestione,
se non si trovassero al di la del bancone non sapresti che gestiscono
l'ostello. Tant'è che poi li trovi a bere una birra ai tavoli in comune o sui
divani a chiacchierare con noi ospiti. La mia camera per due notti si chiama
"Atacama", due letti a castello, gli altri ospiti sono una coppia che
vedo di sfuggita e un ragazzo tedesco. Ma in mente ora ho solo la doccia
liberatoria e il letto.
28 novembre, Perito Moreno
La mattina dopo si va a ammirare
il Perito Moreto, meta inevitabile per chi viene da queste parti. Altra
bellissima giornata, sembro a credito con la fortuna, anche il vento mi darà un
po di tregua oggi. L'avvicinamento è lento, prima tappa dall'alto dove cominci
a vedere il mare di ghiaccio che va a baciare il Lago Argentino. Già da questa
distanza ammiri l'immensità. Ma è dal battello che capisci di cosa si sta
parlando: una parete con punte di sessanta metri, un fronte lunghissimo di
ghiaccio tra il bianco, l'azzurro, il blu.
Le guide ci spiegano alcune cose, sul comportamento da tenere mentre faremo il minitrekking. Per me non è la prima volta quindi non si tratta di una novità, diversamente da una signora australiana che sarà oggetto d'attenzione per il gruppo, ma soprattutto per le guide, per l'intero percorso. Non ha mai trovato l'equilibrio, la sicurezza e la tranquillità, probabilmente non si dimenticherà mai questa esperienza (più in senso negativo...) ci diciamo io e Christine. Già, Christine, dottoressa brasiliana in vacanza solitaria per due settimane, facciamo conoscenza proprio sul ghiacciaio.
Tra crepacci e piccoli laghetti blu facciamo dei saliscendi, brevi soste, e l'idea di camminare sopra uno dei ghiacciai più famosi del mondo è decisamente appagante, ma la sorpresa, divertente, arriva all'ultima sosta, dove le guide ci offrono un bicchiere di whiskey con il ghiaccio del Perito! Idea simpatica e originale.
La prossima tappa è la balconata, un percorso proprio di fronte al Perito, da dove possiamo ammirare il fronte immenso del ghiacciaio, sentirne i rumori del lentissimo movimento, ammirare qualche pezzo che cade in acqua senza, ovviamente, avere il tempo di poter immortalare il momento in una foto. Quello che colpisce di più è l'imponenza, la maestosità della muraglia che si apre a ventaglio e ti senti impotente, perchè qualsiasi ostacolo possa frapporsi tra lui e il suo percorso verrà arginato. Io e Christine percorriamo l'intero percorso di una mezzoretta, tra chiacchiere e foto e preghiere disattese per far cascare un pezzo di ghiaccio mentre cerco di filmare... Arriveremo per ultimi al pullman guadagnandoci lo sguardo di disapprovazione del capogruppo. Inevitabile anche la cena insieme al Librobar di El Calafate, bel locale suggerito dal mio ostello. Vino Graffigna, filetto di manzo, crepes al dulce de leche, liquore di calafate. Nel mezzo tante chiacchiere, viaggi, politica, film e libri, sport e Martin Lecce, un illusionista che si siede di fianco a noi e cavoli, ancora oggi non so come faceva a girare quelle quattro carte ogni volta diverse.
Le guide ci spiegano alcune cose, sul comportamento da tenere mentre faremo il minitrekking. Per me non è la prima volta quindi non si tratta di una novità, diversamente da una signora australiana che sarà oggetto d'attenzione per il gruppo, ma soprattutto per le guide, per l'intero percorso. Non ha mai trovato l'equilibrio, la sicurezza e la tranquillità, probabilmente non si dimenticherà mai questa esperienza (più in senso negativo...) ci diciamo io e Christine. Già, Christine, dottoressa brasiliana in vacanza solitaria per due settimane, facciamo conoscenza proprio sul ghiacciaio.
Tra crepacci e piccoli laghetti blu facciamo dei saliscendi, brevi soste, e l'idea di camminare sopra uno dei ghiacciai più famosi del mondo è decisamente appagante, ma la sorpresa, divertente, arriva all'ultima sosta, dove le guide ci offrono un bicchiere di whiskey con il ghiaccio del Perito! Idea simpatica e originale.
La prossima tappa è la balconata, un percorso proprio di fronte al Perito, da dove possiamo ammirare il fronte immenso del ghiacciaio, sentirne i rumori del lentissimo movimento, ammirare qualche pezzo che cade in acqua senza, ovviamente, avere il tempo di poter immortalare il momento in una foto. Quello che colpisce di più è l'imponenza, la maestosità della muraglia che si apre a ventaglio e ti senti impotente, perchè qualsiasi ostacolo possa frapporsi tra lui e il suo percorso verrà arginato. Io e Christine percorriamo l'intero percorso di una mezzoretta, tra chiacchiere e foto e preghiere disattese per far cascare un pezzo di ghiaccio mentre cerco di filmare... Arriveremo per ultimi al pullman guadagnandoci lo sguardo di disapprovazione del capogruppo. Inevitabile anche la cena insieme al Librobar di El Calafate, bel locale suggerito dal mio ostello. Vino Graffigna, filetto di manzo, crepes al dulce de leche, liquore di calafate. Nel mezzo tante chiacchiere, viaggi, politica, film e libri, sport e Martin Lecce, un illusionista che si siede di fianco a noi e cavoli, ancora oggi non so come faceva a girare quelle quattro carte ogni volta diverse.
Rientrando in ostello ripercorro
l'intera giornata e come, ancora una volta, il viaggio ti sorprende e ti
arricchisce, soprattutto nell'incontro.
29 novembre, Torres del Paine
Salto sul pullman che ancora
dormo, anche perchè sono appena le 5.30 del mattino, il viaggio che mi aspetta
sarà quasi interminabile attraverso la sterminata pianura patagonica, ma anche
a causa di un improvviso sciopero dei doganieri cileni. "La buona notizia
è che dovremo aspettare solo 6 ore": così esordisce Alejandro la nostra
guida cilena che ci accoglie proprio alla frontiera tra Argentina e Cile, a Cerro Castillo.
Evidentemente, deduco, la cattiva sarebbe stata che dovevamo tornare a El Calafate...
Alla dogana di Cerro Castillo |
Evidentemente, deduco, la cattiva sarebbe stata che dovevamo tornare a El Calafate...
Il programma che avevo in mente
dall'Italia era di fare il circuito intero delle TDP, ma i tre giorni passati a
El Chalten, la fatica di camminare con lo zaino pieno, il fatto di avere i
giorni contati previsti per l'intero percorso, cade definitivamente oggi
stesso, anche a causa del ritardo alla frontiera che mi fa praticamente perdere
una tappa. Decido insomma di prendermela comoda facendo l'altrettanto
bellissimo "trekking w", più sicuro e con la possibilità di muovermi
anche con lo zaino alleggerito. L'arrivo nel tardo pomeriggio nella zona
dell'Hotel Torres avviene sotto un cielo nuvoloso. Mi trovo ai piedi del gruppo
delle Torres del Paine, nel versante del Monte Almirante Nieto. Il campeggio
stavolta è come me lo auguravo, cioè dei bagni, docce, e poco distante il rifugio,
dove poter mangiare qualcosa. Finisco di piantare la tenda, con qualche
coniglio che passa nei dintorni. Il primo insediamento umano è a circa 100km da
qua, gli abitanti del posto sono gli escursionisti e le persone che lavorano
nei vai rifugi sparsi per il Parco, si tratta di un posto selvaggio dove la
mano dell'uomo è leggerissima. Gli stessi sentieri sono segnalati in maniera
essenziale, non ci sono deviazioni, solo il sentiero principale, per
salvaguardare il più possibile l'ecosistema.
30 novembre, Mirador Las Torres
Il risveglio mi dice che non
sempre può andarmi bene. Non piove, ma stavolta il cielo è coperto e le vette
sono velate dalle nuvole. Lascio la mia tenda in campeggio e parto con lo zaino
leggero. Il passo è spedito, respiro aria e libertà, a volte un po troppa
gente, per fortuna siamo solo all'inizio della stagione, immagino come possa
essere in estate piena... Raggiungo il Refugio Chileno in un'ora e un quarto,
molto in anticipo rispetto alle due ore previste dalla mappa. Risalgo ancora la
Valle del Rio Ascensio e giungo alla destinazione del Mirador Torre con un po
di pioggia, la prima e unica che incontrerò nel mio percorso. Riesco a trovare
riparo sotto una grande roccia e godermi il paesaggio anche se a metà. Le torri
infatti, maestose, sono coperte.
Ricordano moltissimo le tre cime di Lavaredo. Ed è qui che penso a quanto siamo fortunati noi italiani ad avere le Alpi in casa, le Dolomiti, posti eccezionali e facilmente raggiungibili. La perfetta solitudine tra me, le torri, il ghiacciaio e il lago di fronte dura una decina di minuti, fin quando cioè un gruppo con guide al seguito raggiungono la mia postazione, ovviamente invidiata. Gliela lascio dopo un poco, non senza essermi assicurato un pezzetto di cioccolato gentilmente offerto.
Le torri dal Mirador las torres |
Ricordano moltissimo le tre cime di Lavaredo. Ed è qui che penso a quanto siamo fortunati noi italiani ad avere le Alpi in casa, le Dolomiti, posti eccezionali e facilmente raggiungibili. La perfetta solitudine tra me, le torri, il ghiacciaio e il lago di fronte dura una decina di minuti, fin quando cioè un gruppo con guide al seguito raggiungono la mia postazione, ovviamente invidiata. Gliela lascio dopo un poco, non senza essermi assicurato un pezzetto di cioccolato gentilmente offerto.
Al rientro sosto con piacere al
Refugio Chileno dove mangio un ottimo sandwich con "carne y queso",
sotto le bandiere del Chile e della Patagonia (quest'ultima scoperta grazie ad
uno dei ragazzi del rifugio), in semicompagnia di un viaggiatore coreano solitario
come me.
L'Hotel Las Torres è il lusso qua
alle Torres del Paine. Dormire qua costa almeno 250 dollari americani a notte,
sicuramente dotato di ogni confort, per quel che mi riguarda passerò la serata
a sorseggiare un paio di cervezas austral, e utilizzerò il wifi per la
connessione con il mondo e far sapere che sono vivo. Il telefono infatti non
avrà mai linea fino al mio rientro in Argentina, e ciò non mi dispiace più di
tanto.
1 dicembre, traversata bassa
delle TDP
"Ti sei perso?" Ecco
Jordi, spagnolo, professore di matematica in pensione, che mi viene incontro
mentre ho qualche dubbio tra cartina e cartello. "Vado verso il Refugio
Los Cuernos", gli dico e lui pure mi dice, che se vogliamo possiamo fare
lo stesso percorso insieme. A dispetto dei più di sessant'anni Jordi cammina
bene, anche se attrezzato non benissimo, zaino non grande, una specie di borsa
da computer e una busta della spesa ad occupare le mani, niente bacchette. Faremo
diverse soste, più del previsto per i miei canoni, ma gradite perchè in
compagnia. Piccolo episodio, l'amico Jordi non sentendosi di superare un fiume
attraverso le pietre poste in mezzo, cerca una soluzione alternativa che lo
vedrà aprire battere traccia in mezzo ai cespugli spesso spinosi, agli alberi
bassi. Lo sentirò lamentarsi, imprecando contro la sua scelta. Non è stata una
buona idea mi dice, ringraziandomi per averlo aspettato.
La traversata è
davvero lunga, ma la giornata è per fortuna bellissima e con un vento quasi
assente. Incontriamo poche persone in questo tragitto, qualche condor si va
vedere in aria, alla nostra sinistra il lago Nordenskjold, alla nostra destra
Los Cuernos. Purtroppo il dialogo con Jordi non c'è, lui parla solo spagnolo, io
cerco di capirlo e ribatto un po in italiano... Mi riprometto di fare un corso
di spagnolo al ritorno.
Il lago Nordenskjold |
Arriviamo al Refugio Los Cuernos stanchi e
affamati, ma per un guasto all'impianto elettrica non c'è molto da mangiare.
Riesco ad arraffare l'ultima lattina di birra, e a mangiare un piatto tipico
cileno con carne e patate. Il sole è pieno, passo diverso tempo a scaldarmi con
i suoi raggi all'aperto e a godermi un po di silenzio, finchè non arrivano un
paio di gruppi che purtroppo poco avevano a che fare con la montagna. Riescono
ad occupare l'intera panca a disposizione per sedersi con i loro zaini
impedendo ad altri di usufruirne, chiacchiere ad altissima voce, insomma
insopportabili. Sono le tre del pomeriggio: "Carlos, esta es la hora de la
siesta!", così ci salutiamo con il simpatico Jordi.
A me invece aspettano altre due ore di camminata verso il Campamento Italiano dove trascorrerò la notte. Il percorso mi porta prima in riva al lago in una bianchissima spiaggia di sassi, impossibile non fermarsi.
Poi attraverso continui saliscendi arrivo
all'imbocco della Valle Frances e poco più avanti ecco la mia destinazione. Fa
freddo stasera, il campeggio è affollatissimo, riesco a trovare a stento una
piazzola per la mia tenda. Il punto di ritrovo per la piccola comunità è una
copertura in legno che funge da cucina, dove in tanti cerchiamo di cucinarci
qualcosa. io stesso mi adopero per il classico risotto in busta, che almeno mi
scalda lo stomaco. Vado in tenda stanco ma soddisfatto per la conoscenza fatta
e per la lunga camminata sotto il sole, immerso in un paesaggio unico al mondo.
A me invece aspettano altre due ore di camminata verso il Campamento Italiano dove trascorrerò la notte. Il percorso mi porta prima in riva al lago in una bianchissima spiaggia di sassi, impossibile non fermarsi.
Verso il Campamento Italiano |
2 dicembre, la Valle Frances
E' ora di alzarsi, il programma
prevede l'escursione interna nella Valle France con zaino leggero, poi ritorno
al campeggio e via verso il Lago Pehoè. Metto la testa fuori dalla tenda e vedo
sprazzi di sole. Vado al bagno, e quando torno... sta nevicando! Non credo ai miei
occhi, guardo bene e quelli son proprio fiocchi. Stupito e sorridente, colpito
dal meteo patagonico, rientro in tenda per capire se è il caso di muovermi. Ci
metto poco, zaino in spalla e via. Descritta come imperdibile meta di chi passa
da queste parti, la valle si dimostra tale nonostante il tempo inclemente.
Naturalmente anche il vento è tornato a farmi compagnia, ma ormai non me ne curo più, fa parte di me. Il sentiero iniziato dentro il bosco, esce un po allo scoperto per poi rientrare. Il Campamento Britannico, coperto di neve e privo di qualsiasi tenda, non sembra neanche un'area da campeggio. L'area centrale di ritrovo consta di un mucchio di alberi ravvicinati che formano una sorta di copertura alta forse un metro e mezzo, penso che la sua funzione sia quella di bivacco.
Lascio la desolazione del campeggio e proseguo verso l'alto, da li cammino per altri venti minuti, in compagnia separata di un altro solitario, un ragazzo giapponese dal passo spedito. Quando arrivo in "cima" e lo trovo la gli stringo la mano sorridendo, come se fossimo arrivati in vetta di una montagna andina... Lui ricambia il sorriso. Il contatto con gli esseri umani è importante, fosse anche in questa sfuggente maniera.
Risalendo la Valle Frances |
Naturalmente anche il vento è tornato a farmi compagnia, ma ormai non me ne curo più, fa parte di me. Il sentiero iniziato dentro il bosco, esce un po allo scoperto per poi rientrare. Il Campamento Britannico, coperto di neve e privo di qualsiasi tenda, non sembra neanche un'area da campeggio. L'area centrale di ritrovo consta di un mucchio di alberi ravvicinati che formano una sorta di copertura alta forse un metro e mezzo, penso che la sua funzione sia quella di bivacco.
Il Campamento Britanico |
Lascio la desolazione del campeggio e proseguo verso l'alto, da li cammino per altri venti minuti, in compagnia separata di un altro solitario, un ragazzo giapponese dal passo spedito. Quando arrivo in "cima" e lo trovo la gli stringo la mano sorridendo, come se fossimo arrivati in vetta di una montagna andina... Lui ricambia il sorriso. Il contatto con gli esseri umani è importante, fosse anche in questa sfuggente maniera.
Il panorama da qua viaggia fino
al lago Nordernskjold, attraverso i ghiacciai e i boschi e los Cuernos.
Rientrato al Campamento Italiano mi carico tutto in spalla e scendo verso il facile percorso che mi condurrà alla prossima tappa, cioè la Laguna Pehoè con l'omonimo Refugio e camping. Il vento che dopo la sosta di ieri ha ripreso stamattina e credo abbia capito che mi sta antipatico, quindi ha deciso di perseguitarmi tutto il giorno. E mi farà anche uno sgambetto. Comincia a farsi vedere, come un gallo che gonfia il petto, mostrandomi come è in grado di raccogliere l'acqua dalla superficie del lago e portarla un po a spasso, magari sbattendola in faccia agli escursionisti di turno che percorrono la via appena sopra il lago.
Come me ad esempio... Manca un chilometro al mio arrivo al rifugio e percorro il mio onesto sentiero quando mi ritrovo in un secondo sollevato da terra e gentilmente accomodato a sinistra, al di fuori del sentiero, come se volessi deviare di iniziativa per evitare, che ne so, una pozzanghera. Sorrido e ritorno a destra, nel sentiero, borbottando di non rompere i cosiddetti. Altri pochi passi e lui mi dice che no, non devo andare dritto, quindi mi ributta a sinistra, ma non si accontenta, e allora ancora a sinistra e un altro passo ancora e ancora. Pochi attimi e decido immediatamente che l'amico sta un po esagerando e siccome un po troppo a sinistra non va più bene perchè troverei un saltello verso il basso di una decina di metri, allora mi butto a terra con i miei venti chili di zaino. Continuo a sorridere, naturalmente imprecando. Ok dico, sei più forte, però ora basta, ma lui ne ha ancora un po da dire, finchè non prende un po di fiato e mi dice che ora posso proseguire. Negli ultimi metri che mi separano dal Refugio alzo lo sguardo da terra e vedo oltre le grandi vetrate le facce di chi già ce l'ha fatta, vedo i loro capelli fermi, non on aria, la faccia rilassata e asciutta e non tirata e scherzata dall'acqua di lago portata dal vento. Ok penso, tra poco tocca anche a me. La fatica e la conquista di un traguardo meritato, al termine di una giornata piena, densa di emozioni per quanto visto e affrontato, tra chilometri macinati e intemperie.
Rientrato al Campamento Italiano mi carico tutto in spalla e scendo verso il facile percorso che mi condurrà alla prossima tappa, cioè la Laguna Pehoè con l'omonimo Refugio e camping. Il vento che dopo la sosta di ieri ha ripreso stamattina e credo abbia capito che mi sta antipatico, quindi ha deciso di perseguitarmi tutto il giorno. E mi farà anche uno sgambetto. Comincia a farsi vedere, come un gallo che gonfia il petto, mostrandomi come è in grado di raccogliere l'acqua dalla superficie del lago e portarla un po a spasso, magari sbattendola in faccia agli escursionisti di turno che percorrono la via appena sopra il lago.
La forza del vento |
Come me ad esempio... Manca un chilometro al mio arrivo al rifugio e percorro il mio onesto sentiero quando mi ritrovo in un secondo sollevato da terra e gentilmente accomodato a sinistra, al di fuori del sentiero, come se volessi deviare di iniziativa per evitare, che ne so, una pozzanghera. Sorrido e ritorno a destra, nel sentiero, borbottando di non rompere i cosiddetti. Altri pochi passi e lui mi dice che no, non devo andare dritto, quindi mi ributta a sinistra, ma non si accontenta, e allora ancora a sinistra e un altro passo ancora e ancora. Pochi attimi e decido immediatamente che l'amico sta un po esagerando e siccome un po troppo a sinistra non va più bene perchè troverei un saltello verso il basso di una decina di metri, allora mi butto a terra con i miei venti chili di zaino. Continuo a sorridere, naturalmente imprecando. Ok dico, sei più forte, però ora basta, ma lui ne ha ancora un po da dire, finchè non prende un po di fiato e mi dice che ora posso proseguire. Negli ultimi metri che mi separano dal Refugio alzo lo sguardo da terra e vedo oltre le grandi vetrate le facce di chi già ce l'ha fatta, vedo i loro capelli fermi, non on aria, la faccia rilassata e asciutta e non tirata e scherzata dall'acqua di lago portata dal vento. Ok penso, tra poco tocca anche a me. La fatica e la conquista di un traguardo meritato, al termine di una giornata piena, densa di emozioni per quanto visto e affrontato, tra chilometri macinati e intemperie.
Dall'interno del Refugio Pehoè |
Il rifugio è il giusto premio, la
cena il mio trofeo. Era un po che non mangiavo, e bevevo, così bene. Note di
merito alla zuppa di legumi e al vino Casillero. La tenda montata un po così
così, ma le do fiducia. L'ho messa sotto costa, per prendere meno raffiche di
vento possibile, ma fuori c'è davvero una sorta di tempesta, incessante. Di
sopra c'è il bar, dove sorseggio un ottimo Pisco affondato in una poltrona e
accompagnato da una musica mista a chiacchiericcio multilingua della sala. E'
mezzanotte. Chiunque guardasse fuori dal rifugio vedrebbe un ombra correre con
la luce della lampada frontale, zigzagando tra le tende del campeggio e
buttarsi, ancora vestito, dentro una piccola tenda arancione, martoriata, ma
ancora lì, orgogliosa e dignitosa.
3 dicembre, Lago Grey
Sprazzi di sole illuminano
l'interno della tenda ondulata, il tempo di fare una delle rare decenti
colazioni della mia patagonia e le nuvole hanno già preso il sopravvento
coprendo il cielo. Anche il vento ha appena fatto colazione e come me si attiva
per passare la giornata, io avanti in salita imbocco la valle che dal lago
Pehoè mi porta sull'altopiano e lui percorre lo stesso sentiero in direzione
ostinata e contraria.
Camping al Refugio Pehoè |
L'aria è un po fredda stamattina,
devo alternare molte volte la manica corta con la maglia e il guscio, tra le
tante salite e discese. Sarà il centesimo lago che vedo... ma anche il Lago
Grey ti lascia di stucco. Immenso, pezzi di ghiaccio che vagano, montagne
innevate intorno e in lontananza l'omonimo ghiacciaio.
Mi capita spesso di riconoscere facce già viste lungo tutto il percorso, viaggiatori anche loro come me anche se in maniera diversa. Il gruppone, i francesini, il giapponese, la coreana, gli amici veloci, gli strani. Hola, hello, ciao ciao, ripetuti a caso, vanno bene tutti, ci si saluta in montagna, un sorriso a volte è sufficiente, chi viene da una lunga e faticosa salita non dimentica un saluto, piuttosto lo fa con una smorfia. Sembriamo tutti amici, sembriamo dirci a vicenda che siamo felici di essere in questo posto. Lontano anni luce da una qualsiasi camminata per le strade della città, facce tutte uguali, spesso di corsa, nessun saluto, non ci si guarda negli occhi. Hai tutto il tempo per essere solo con te stesso, con la natura, ti fermi quando vuoi, ascolti, respiri, immagini, ti stupisci. Scatti foto che non renderanno mai la meraviglia. Poi pensi anche che si, sarebbe bello anche se tutto ciò fosse condiviso con un amico. A volte non vuoi essere solo. "Happiness only real when shared", cioè la felicità è autentica solo se condivisa (Into the wild).
Lago Grey e ghiacciaio |
Mi capita spesso di riconoscere facce già viste lungo tutto il percorso, viaggiatori anche loro come me anche se in maniera diversa. Il gruppone, i francesini, il giapponese, la coreana, gli amici veloci, gli strani. Hola, hello, ciao ciao, ripetuti a caso, vanno bene tutti, ci si saluta in montagna, un sorriso a volte è sufficiente, chi viene da una lunga e faticosa salita non dimentica un saluto, piuttosto lo fa con una smorfia. Sembriamo tutti amici, sembriamo dirci a vicenda che siamo felici di essere in questo posto. Lontano anni luce da una qualsiasi camminata per le strade della città, facce tutte uguali, spesso di corsa, nessun saluto, non ci si guarda negli occhi. Hai tutto il tempo per essere solo con te stesso, con la natura, ti fermi quando vuoi, ascolti, respiri, immagini, ti stupisci. Scatti foto che non renderanno mai la meraviglia. Poi pensi anche che si, sarebbe bello anche se tutto ciò fosse condiviso con un amico. A volte non vuoi essere solo. "Happiness only real when shared", cioè la felicità è autentica solo se condivisa (Into the wild).
Arrivo al rifugio in anticipo
rispetto ai tempi previsti dalle cartine, non avevo intenzione di mangiare, ma
cambio subito idea quando vedo un piatto di zuppa. Ma ecco l'ennesima
sorpresa... "Professore!" Si, è proprio lui, Jordi, seduto al tavolo
che termina il suo pranzo. Mi saluta, contento anche lui di rivedermi, mi dice
che il paesaggio è stupendo e che ha visto un sacco di passerotti! Non so
perchè ma aveva la fissa per gli uccelli... Mentre mangio lui mi saluta, come
sempre, per andare incontro alla sua immancabile siesta. Per me invece, dopo
essermi rovinato la zuppa con una specie di immangiabile riso freddo
semiaffogato nel latte, mi avvio verso il fronte del ghiacciaio che raggiungo
in dieci minuti. Cerco di raggiungere il punto più vicino per fare la foto, e
quando salgo una decina di metri di rocce ecco l'inaspettato, quello che ti fa
dire "o cazz!", un enorme isola di ghiaccio che vaga nel lago, un
iceberg bianco e azzurro alla deriva.
Tutto questo avviene in uno scenario isolato, lontano centinaia di chilometri dalla civiltà, qua la natura è nel pieno delle forze, acqua, ghiaccio, vento, terra. Rientro lentamente chiudendo il percorso del "trekking w". Quando arrivo al Refugio Peohè sono felice ma stanco, stanco morto. Faccio due conti e riscontro che in questi giorni, tra El Chalten e Torres del Paine, ho percorso quasi 120 chilometri. Io, lo zaino e le mie indispensabili bacchette. E ho deciso che ora sono stanco e che può bastare così.
Tutto questo avviene in uno scenario isolato, lontano centinaia di chilometri dalla civiltà, qua la natura è nel pieno delle forze, acqua, ghiaccio, vento, terra. Rientro lentamente chiudendo il percorso del "trekking w". Quando arrivo al Refugio Peohè sono felice ma stanco, stanco morto. Faccio due conti e riscontro che in questi giorni, tra El Chalten e Torres del Paine, ho percorso quasi 120 chilometri. Io, lo zaino e le mie indispensabili bacchette. E ho deciso che ora sono stanco e che può bastare così.
4 dicembre, ritorno alla base
Ora, le possibilità sono due. O
prendo i miei venti chili di zaino in spalla e mi incammino verso l'Hotel
Torres da dove sono partito per il "w trekking" oppure prendo la
scorciatoia.
Da un lato altri 15km circa di
cammino che con lo zaino pieno vogliono dire almeno 7 ore di cammino.
Dall'altro un comodo viaggio tra catamarano e pullman. La decisione è
immediata, non mi andava di fare un faticoso percorso peraltro già fatto. Il
tratto in catamarano attraverso il Lago Pehoè verso Pudeto è molto bello, la
giornata è bella e ammiro lo spettacolare fronte della catena delle Torres del
Paine, se fosse una città sarebbe un perfetto skyline.
Qua se la prendono tutti un po comoda, i pullman da Pudeto alla Laguna Amarga partiranno dopo due ore. La speranza di poter arrivare in tempo utile per riprovare l'escursione del primo giorno sperando nel bel tempo svanisce perchè arrivo troppo tardi e il tempo comincia a cambiare. Rimetto la speranza alla mattina successiva.
Qua se la prendono tutti un po comoda, i pullman da Pudeto alla Laguna Amarga partiranno dopo due ore. La speranza di poter arrivare in tempo utile per riprovare l'escursione del primo giorno sperando nel bel tempo svanisce perchè arrivo troppo tardi e il tempo comincia a cambiare. Rimetto la speranza alla mattina successiva.
"Very nice tent, it's so
little!" Ecco Richard, lui è del Minnesota ma lavora qui, in Cile, al
campeggio Las Torres. Incuriosito dalla tenda e soprattutto dal mio martello
con cui la assicuro a terra con i ganci. Scambiamo due simpatiche parole.
Amici al camping Las Torres |
"Hello, I'm Mike, what's
your name?" Avevo già iniziato la mia cena, la peggiore in assoluto per
qualità del cibo, quando di fronte a me arriva lui, sui quasi cinquanta con sua
figlia Glorianne, una bionda ragazzina che ha l'aria di non gradire molto
quello che le hanno portato a tavola. Il primo consiste in un tentativo di
"zuppa di pesce", molto acquosa, poco saporita. Glorianne assaggia un
cucchiaio, smorfia e la cede volentieri a Mike. Io sorrido, soprattutto quando
arriva il secondo, un coppia di carne in cartoccio, tuttora non so che tipo di
carne fosse, fatto sta che era tutto tranne che buona. Glorianne la guarda
soltanto, Mike l'assaggia, le smorfie si sprecano e io sorrido, anzi rido per
la situazione, e Mike trova la faccia di bronzo per riportare il piatto in
cucina e farsela cuocere almeno un altro po perchè semicruda. Glorianne invece
torna vittoriosa dalla cucina con due mele... Loro sono di Chicago, faranno
come me il "w trekking", poi lei proseguirà in autonomia incontrando
amici a Valparaiso, spero che almeno lì potrà trovare buon cibo... Gli dico di
me, gli racconto del percorso fatto eccetera.
"Sei italiano?"
Interviene Vera, seduta di fianco a me in un gruppo di quattro persone.
Avvocatessa tedesca, lavora a Londra, ma parla un po' d'italiano grazie ad uno
stage fatto a Roma. E' carina, ma diventa bella quando mi racconta che, con
l'amica hanno fatto l'intero circuito del Paine. E' incredibile, prima
Hennieke, poi Christine, poi Vera, tre donne all'avventura, tre storie diverse
unite dalla stessa passione per la natura e il viaggio. Vanno tutti via, ma io
ho ancora da fare, ho infatti adocchiato una chitarra appesa al muro... Chiedo
il permesso ad uno dei ragazzi del rifugio e mi ritrovo a suonare e cantare,
per me e basta, in un caldo angolo della sala. Beh ho fatto anche questo!
5 dicembre, rientro in Argentina
Tiro fuori la testa dalla tenda
verso le 7, ma le nuvole sono ancora la, a fare da cappello alle Torri che
avrei voluto vedere limpide stamattina, non come il primo giorno. Invece no, la
montagna mi risponde che anche oggi non si può. Rinuncio pertanto, ma va
benissimo così. A colazione rivedo Vera con l'amica, mi dicono che loro
prendono il pullman e vanno a Pudeto per fare una camminata di un'ora verso un
belvedere. "Se riesco a smontare la tenda e faro la zaino in tempo vengo
anch'io, altrimenti... è stato bello!" Lei mi sorride, prenderà il
pullman, io no, non ci rivedremo più.
Il lento rientro in Argentina è
ricco di pensieri, voglia un po di tornare a casa, e desiderio però di tornare
in questi posti, da percorrere magari in auto, per fermarmi nelle estancias,
nei piccoli e rari paesini attorno alle pompe di benzina lungo la Ruta 40.
Piccolo guanaco alla Laguna Amarga |
DETTAGLI TECNICI
Volo
Scelgo il meno caro ovviamente, e
allora American Airlines destinazione El Calafate (Argentina), con ben due
scali: Miami e Buenos Aires. Trattasi, per la precisione, di 11 ore
Milano-Miami, 8 ore Miami-Buenos Aires e 3 ore e mezza da Buenos Aires a El
Calafate. Biglietto fatto in Agosto al costo di 1070 euro A/R. A Buenos Aires
ho dovuto cambiare aeroporto, arrivo ad Ezeiza e ripartenza da Pistarini. Ad Ezeiza
c'è il desk del bus Manuel Tienda Leon dove acquisto il biglietto per 95 ARS.
Ci mette circa 50 minuti.
Pernottamenti
Farò 4 notti in ostello, tutti
prenotati dall'Italia, e 8 in tenda. Gli ostelli tutti molto belli, gestiti da
ragazzi simpatici e molto gentili.
Una notte a El Chalten, ostello
Condor de los Andes (122ARS), camera da 4px con bagno interno.
Due notti a El Calafate, ostello
America del Sur (241ARS in totale), camera da 4px con bagno interno. Con questo
ostello, che consiglio vivamente, ho prenotato il Bus da El Chalten a El
Calafate, il minitrekking al Perito Moreno, il viaggio per le TDP (a/r). Le
prenotazioni vengono fatte solo in caso di soggiorno all'ostello. Quindi ho
prenotato su www.booking.com, e poi ho scritto via email all'ostello (calafate@americahostel.com.ar)
Ultima notte a El Calafate,
Hosteria Los Gnomos (329ARS), camera singola con bagno.
Due notti in tenda a El Chalten,
campeggi gratuiti.
Sei notti alle TDP, in campeggi tutti
a pagamento tranne uno (Campamento Italiano). Gli altri 6000CHP ciascuno.
Attrezzatura tecnica
Zaino Ferrino Overland 80+10,
tenda Camp minima 1, sacco a pelo ferrino lightec 600, materassino Camp da 3.5cm,
1 pantalone tecnico per il trekking e 1 pantalone in cotone, 2 pantaloncini
corti, 4 magliette tecniche maniche corte, 2 maglie tecniche maniche lunghe, 1
pile, 1 piumino Selewa, 1 giacca/guscio, 5 paia di calze e mutande, guanti,
cuffia con paraorecchie, asciugamano, scarpe da trekking basse, scarponi da trekking.
Medicine e kit da pronto soccorso. Barrette energetiche. Lampada da tenda,
lampada frontale e pile di ricambio, bottiglia da litro, fornellino, pentolino
e posate, riso liofilizzato. Guida Lonely Planet, 3 cartine (Patagonia, Fitz
Roy-Cerro Torre e Torres del Paine), burrocacao, crema solare, occhiali da
sole.
Clima e luce
E' sempre difficile rispondere
alla domanda "fa freddo?", è ovvio che dipende tutto dal grado di
sopportazione del freddo che è sempre soggettivo. La mia risposta è che no, non
ho sofferto il freddo. Diciamo che la sera tardi e la notte la temperatura in
alcune zone era intorno ai 0-2 gradi. In tenda ho quasi sempre dormito in
mutante e maglietta o al massimo con la maglia a maniche lunghe. Importante
avere sempre il cappellino a portata di mano e sei a posto. Di giorno in
cammino quasi sempre in pantaloncini e maglietta a maniche corte. Diciamo che
si stava tra i 13 e i 20 gradi quando c'era il sole. La cosa peggiore è
ovviamente il vento, fortissimo e freddo perchè viene dallo Hielo Continental.
Quando soffiava ero costretto a mettere almeno la maglia tecnica e talvolta il
guscio per proteggermi. Non ho mai usato il piumino e mai i guanti. La luce è tantissima,
comincia a spuntare intorno alle 4-5 di mattina per finire intorno alle 23,
quindi giornate lunghissime.
Difficoltà nel trekking
In generale nessuna difficoltà tecnica
lungo i percorsi fatti. Si tratta di sentieri segnalati bene, ci vuole sempre
la dovuta attenzione ma solo in rari tratti. Può essere faticoso se si ha uno
zaino pesante (e il mio lo era). I continui sali-scendi sono un po provanti, e
soprattutto il vento ha reso le cose meno facili del previsto.
Trasferimenti, Tour e Parchi
La cosa più difficile dall'Italia
è stata trovare informazioni sul web relativamente alle escursioni e ai
trasferimenti. Raramente i siti mettono i prezzi, pertanto bisogna quasi sempre
scrivere email.
- Aeroporto El Calfate - El chalten: compagnia Las Lengas ( laslengaselchalten@yahoo.com.ar, http://www.transportelaslengas.com.ar/), prenotata dall'Italia e pagata in loco (220ars solo andata). Mi son trovato bene, un po di fraintendimenti con le email, parlano solo spagnolo... Comunque pare sia l'unica compagnia che conduce direttamente dall'aeroporto a El Chalten, senza passare da Calafate.
- El Chalten - El Calafate: prenotato tramite l'ostello America del Sur, 150ars
- Minitrekking Perito Moreno: prenotato tramite l'ostello America del Sur, 800ars che comprende il trasferimento in pullman (che fa il giro degli alberghi di Calafate), il battello e il trekking di circa un'ora e mezza. Ingresso al Parco Nazionale 130ars
- Taxi: presi a Calafate un paio di volte, costo medio 30ARS, sono molto convenienti. Preso inoltre l'ultimo giorno per andare da Calafate in aeroporto dall'albergo. Costo 170ars, a me è capitato di andare con altri due pertanto ho pagato solo 60ars.
- El Calafate - Torres del Paine (a/r): costo 1050ars (circa 160usd). Il collegamento tra i due siti è molto complicato se ci si affida a bus regolari. Nessuno, infatti, ha il collegamento diretto, attraverso Cerro Castillo, ma transitano tutti da Puerto Natales, con un grosso dispendio di tempo. I bus di linea infatti collegano Calafate con Puerto Natales con partenze intorno alle 8 del mattino, arrivo a PN intorno alle 13, poi si cambia bus (altra compagnia) che in 2 ore circa ti porta alle TDP. Il costo è inferiore (intorno alla metà), ma praticamente spendi un giorno in viaggio. Stessa cosa al ritorno, con i bus che partono alle 8 da Puerto Natales, significa che devi lasciare le TDP la sera prima. Io ho preferito spendere un po di più ma risparmiare moltissimo tempo. Molte compagnie private offrono infatti il tour di un giorno alle TDP (passando dal Cerro Castillo ed evitando Puerto Natales), oppure come me l'andata e il ritorno in giorni differenti. Ma anche qui ho dovuto chiedere due preventivi online prima di arrivare alla migliore offerta dall'America del sur. Due compagnie non hanno neanche voluto contrattare quando ho provato ad offrire un po di meno, si sono quasi offese! Per fortuna comunque perchè poi ho speso molto meno. Vi consiglio quindi di non contattare queste compagnie: Experience Chile (request@experiencechile.org) mi chiedevano 255usd; GL - Glacier's Land DMC (www.todocalafate.com; info@todocalafate.com) mi chiedevano 225usd
- Ingresso al Parco Nazionale delle Torres del Paine 18000CHP. Trasferimenti dalla Laguna Amarga al camping Las Torres 2500CHP. Da Pudeto alla Laguna Amarga 2500chp. Catamarano dal Lago Pehoè a Pudeto 12000chp
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